I frantoi ipogei di gallipoli

Lampada ad olio in ceramica

A partire dal XVII secolo l’olio di Gallipoli era considerato il migliore del Mediterraneo. Ottenuto dalla spremitura delle olive, non era usato per l’alimentazione, bensì per illuminare le case, ma, soprattutto, le strade e le piazze. Si trattava dell’olio lampante.

Il suo prezzo veniva battuto da Napoli a Londra. Navi e bastimenti provvedevano a trasportarlo dal porto della città salentina verso i principali scali italiani e del Nord Europa; da questi ultimi raggiungeva addirittura gli Stati Uniti e le steppe russe. Era impiegato nelle lanerie della Gran Bretagna e grazie alla sua purezza illuminava le icone venerate nelle chiese ortodosse di Mosca. Anche il Palazzo d’Inverno di Pietroburgo si accendeva con l’olio gallipolino che faceva risaltare gli ampi saloni ricchi di specchi e marmi policromi. Pare che la stessa zarina Caterina avesse più volte inviato emissari a Gallipoli per cercare di scoprirne il segreto nascosto all’interno dei frantoi ipogei.

Questi non sono semplicemente delle grotte scavate sottoterra, ma opere d’ingegneria. Talvolta le grotte venivano ricavate dalla trasformazione di granai d’età messapica e di cripte di epoca bizantina presenti nel sottosuolo dei centri storici. Ma spesso venivano scavate sotto edifici già esistenti. Le gigantesche ruote venivano calate a mano. Quando queste iniziavano a mostrare delle crepe venivano distrutte e sostituite: la volta di copertura veniva demolita e riscostruita dopo aver installato la nuova ruota.

Antico frantoio ipogeo

Ruota del frantoio

Le olive usate per produrre l’olio lampante venivano scaricate direttamente all’interno del frantoio da un foro posto nella volta. La scelta di creare i frantoi sottoterra permetteva di mantenere il prodotto a una temperatura costante di circa 17°.

Le olive, tenute nelle sciaghe, non rischiavano di ammuffire, cosa che invece capitava nei frantoi di superficie a causa degli sbalzi di temperatura (problema che avevano alcune realtà dei paesi vicini). Per produrre un buon olio lampante bisognava avere olive integre, di buona qualità e non marce.

Più tempo rimanevano nelle sciaghe, più saliva la loro acidità e più grasso risultava il loro olio. Le sciaghe funzionavano come frigoriferi dove rimanevano per circa 20-30 giorni. In seguito venivano prese e frantumate per tirarne fuori quella che veniva definita la “mamma”, una sostanza che veniva messa nei torchi alla calabrese: la pasta di olive veniva inserita all’interno di più dischi che fungevano da filtri (chiamati discoli).

Antiche sciaghe

Man mano che si spremeva, il liquido che usciva finiva nel “pozzo dell’angelo”. Non era un olio puro, ma un misto di olio e acqua di decantazione. La diversa densità dei due elementi ne favoriva la separazione. L’olio che rimaneva in superficie veniva raccolto con un piatto di rame.

Dopo la prima spremitura la pasta di olive passava alla seconda e poi alla terza. L’acqua che rimaneva, confluiva poi nel “pozzo della sentina”. Non era acqua pura, ma acqua grassa, mista a elementi di lavorazione dell’olio. Questa veniva mandata a Marsiglia per la produzione dell’omonimo e famoso sapone locale.

Produzione del sapone di Marsiglia con l’acqua di decantazione delle olive.

Dalle cisterne l’olio veniva poi portato nelle Pile Regie di caricamento che si trovavano vicino al mercato del pesce. Pile graduate che venivano riempite dell’olio in attesa di essere caricate sulle navi e venduto in tutto il mondo.

Lavorare nei frantoi era un mestiere stagionale, da ottobre a marzo, ben remunerato ma logorante: l’aria umida, spesso povera di ossigeno e piena di germi e batteri (uomini e animali lavoravano, mangiavano e dormivano dentro le grotte, senza quasi mai uscire) portava a frequenti casi di malattie mortali per chi era presente in quelle realtà.

Il commercio dell’olio lampante apportava benefici all’intera economia cittadina. Gli Aragonesi ogni anno ne cambiavano la gestione per permettere a molti abitanti di Gallipoli di migliorare le proprie finanze. I frantoi erano riuniti in confraternite che spesso investivano i ricavi in opere pubbliche e chiese che ancora oggi contribuiscono a diffondere il pregio architettonico della città storica di Gallipoli.

La scoperta dell’energia elettrica segna il declino di questa attività: molti dei frantoi vengono chiusi e usati come magazzini o discariche.  Alcuni di questi oggetti sono stati trasformati in musei, destinati a diffondere uno spaccato di storia mediterranea.

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